VITTORINO ANDREOLI E LA MOLECOLA DELLA SERENITÀ

Il giovedì dei GiovedìScienza

30 agosto 2018



Se dico “depressione” dico “serotonina”. Già, perché la serotonina è un neurotrasmettitore sintetizzato nelle cellule del cervello in grado di regolare in diversi modi il tono dell’umore. Fra i principali farmaci impiegati nel trattamento della depressione esistono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, che frenano il riassorbimento della sostanza. Questa famiglia di psicofarmaci impedisce che il livello di serotonina diminuisca eccessivamente, contenendo concretamente lo stato depressivo. Che, visto così, fa meno paura, o meglio, sembra più controllabile. “E’ solo una molecola, soltanto una molecola. Non mi sta crollando il mondo addosso”. Andrebbe ripetuto ogni volta in cui ci sembra, davvero, di non farcela.
A lavorare sulla serotonina, dagli anni trenta del novecento in avanti, molti grandi della ricerca preclinica. Da Erspamer, che la isolò per la prima volta nel 1935 nella mucosa intestinale di rana (un lavoro che avrebbe dovuto dargli il premio Nobel), a Trabucchi e Vittorino Andreoli, suo allievo, circa trent’anni dopo.
Sin dalle prime evidenze scientifiche fu chiaro che la serotonina riveste un ruolo chiave nel funzionamento cerebrale. E non soltanto su di essa si incentrarono le ricerche. Si scoprì nel tempo che il nostro cervello funziona grazie ad un fine equilibrio mantenuto dai livelli di serotonina, noradrenalina, dopamina e acetilcolina, sostanze in grado di modulare l’attività delle cellule nervose. Dai livelli di tali sostanze dipendono i nostri stati d’animo e il nostro umore, il modo in cui entriamo in rapporto con gli altri, il modo in cui reagiamo a ciò che ci succede. Dalla loro mancanza o eccessiva presenza derivano alcuni stati patologici correlati alla sfera psichica e mentale. Ansia, depressione, Alzheimer, “follia”.
E sui “matti”, irrimediabilmente depressi, visti i metodi di contenimento dell’epoca, Andreoli ha concentrato l’applicazione delle sue ricerche neuroscientifiche giovanili, trovando metodi terapeutici differenti, saldi nel legame misterioso tra arte e follia. Perché alla fine non era il cervello che lo interessava, ma chi lo possedeva: nei difetti, nelle patologie, negli estremismi. Nel tentativo di restituire la dignità che per anni la visione lombrosiana aveva negato alla follia, tracciando in modo sempre più labile il confine tra persone “normali” e malati di mente.   


Di psiche e cervello con Vittorino Andreoli si parlerà nell’edizione 2018-2019 delle conferenze di GiovedìScienza. Ma cercheremo di farlo da punti di vista insoliti. L’appuntamento, gratuito, è come sempre al teatro Colosseo.


Da Speciale GiovedìScienza Story

VITTORINO ANDREOLI: LA NAVE DEI FOLLI

GiovedìScienza 20ª Edizione - 9 febbraio 2006



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